Direttiva Madre-Figlia: chiarimenti della Corte di Giustizia UE per l'analisi anti-abuso nella causa Nordcurrent Group (C-228/24)
La sentenza Nordcurrent Group resa dalla CGUE il 3 aprile 2025 (C-228/24) precisa che la clausola antiabuso della direttiva madre-figlia si applica solo se sono soddisfatte due condizioni cumulative: l’esistenza di un’articolazione non autentica e un obiettivo fiscale contrario alla finalità della direttiva. L’analisi deve riguardare l’insieme dei fatti, inclusi quelli anteriori alla distribuzione dei dividendi, e tenere conto del carico fiscale effettivamente sostenuto, in particolare se l’aliquota dell’imposta sulle società nello Stato della controllata risulta più elevata.
La Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) ha reso, il 3 aprile 2025, una sentenza che fornisce chiarimenti utili sulla metodologia di analisi delle pratiche abusive in materia di fiscalità dei dividendi infragruppo transfrontalieri. Investita dalla Mokestinių ginčų komisija (Commissione per le controversie fiscali presso il Governo della Lituania), la Corte era chiamata a pronunciarsi sull’interpretazione della clausola antiabuso prevista all’articolo 1, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2011/96/UE sul regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie, come modificata dalla direttiva 2015/121.
Ai sensi di tale clausola: “Gli Stati membri non concedono i benefici della presente direttiva a un montaggio o a una serie di montaggi che, essendo stati realizzati con l’obiettivo principale o uno degli obiettivi principali di ottenere un vantaggio fiscale contrario all’oggetto o alla finalità della presente direttiva, non sono autentici tenuto conto dell’insieme dei fatti e delle circostanze pertinenti.” Il testo aggiunge: “Un montaggio o una serie di montaggi si considera non autentico nella misura in cui non è stato realizzato per motivi commerciali validi che riflettano la realtà economica.”
La controversia oppone la società Nordcurrent, residente fiscale in Lituania, all’amministrazione fiscale del suo Stato di residenza, che ha rifiutato l’esenzione dall’imposta sulle società relativamente ai dividendi percepiti dalla sua controllata britannica, ritenendo che quest’ultima costituisse un montaggio non autentico.
A seguito di un controllo fiscale effettuato nel 2023, l’amministrazione ha ritenuto che la controllata non disponesse di una sostanza economica sufficiente: a tale data, impiegava una sola dipendente, la quale ricopriva ruoli di direzione in diverse società, non aveva locali propri e condivideva l’indirizzo con decine di migliaia di entità registrate tramite un servizio di domiciliazione. Inoltre, secondo l’amministrazione, le piattaforme di distribuzione utilizzate dalla controllata erano in realtà gestite dal personale della casa madre, Nordcurrent. Questo insieme di indizi ha portato a un accertamento fiscale relativo agli anni 2018 e 2019, con recuperi d’imposta, interessi e sanzioni.
Nordcurrent ha contestato tale valutazione, sostenendo che la controllata era stata costituita nel 2009 per rispondere a esigenze di mercato e per consentire la stipula di contratti con piattaforme di distribuzione basate nel Regno Unito. La società afferma che la controllata ha progressivamente cessato le sue attività operative a partire dal 2017, trasferendo le funzioni alla casa madre, prima di essere liquidata nel 2021. Ha inoltre sottolineato che la controllata era assoggettata all’imposta sulle società nel Regno Unito, con un’aliquota superiore rispetto a quella lituana (24% contro 15%), circostanza che, secondo la società, escluderebbe la presenza di un vantaggio fiscale ingiustificato.
La sentenza solleva dunque tre questioni fondamentali: (1) l’applicabilità della clausola antiabuso a una controllata che svolge una propria attività economica, (2) l’estensione temporale dell’analisi del montaggio, e (3) la necessità di dimostrare l’effettiva esistenza di un vantaggio fiscale. Tali interrogativi richiedono una lettura attenta del metodo interpretativo seguito dalla CGUE.
I. Un’interpretazione estensiva ma circoscritta della clausola antiabuso
A. Una clausola applicabile indipendentemente dalla funzione di società interposta
La CGUE ricorda che la clausola antiabuso prevista all’articolo 1, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2011/96 non si limita alle situazioni in cui un’entità svolge il ruolo di intermediario passivo all’interno di un gruppo. Essa si applica in modo più ampio a qualsiasi struttura priva di una giustificazione economica sufficiente. La controllata di Nordcurrent non costituiva, in senso stretto, una società interposta inserita in una catena di detenzione dei dividendi; percepiva direttamente i ricavi derivanti da un’attività di distribuzione di giochi digitali, sulla base di contratti conclusi con piattaforme come Google Play.
Tuttavia, l’amministrazione fiscale lituana ha rilevato che tale attività, sebbene formalmente attribuita alla società britannica, non era materialmente svolta da quest’ultima. La mancanza di personale dedicato, l’assenza di strutture materiali e la sovrapposizione delle funzioni operative con la casa madre hanno giustificato, a suo avviso, una riqualificazione come montaggio non autentico.
In risposta, la CGUE conferma che la nozione di montaggio non autentico non si limita a una tipologia formale. Essa invita i giudici nazionali a verificare se la struttura, anche in assenza di una interposizione formale, celi in realtà un’assenza di sostanza economica. Così, la sola esistenza di un contratto, di una registrazione giuridica o di un’attività apparente non basta a escludere l’applicazione della clausola qualora le funzioni siano esercitate altrove o in assenza di mezzi propri.
B. Una valutazione del carattere autentico fondata su un approccio cronologico e funzionale
Secondo la Corte, la valutazione dell’autenticità del montaggio non può essere cristallizzata al solo momento della distribuzione dei dividendi. Nel caso di specie, l’amministrazione fiscale si era basata esclusivamente sulla situazione della controllata negli anni 2018 e 2019. Tuttavia, il giudice del rinvio osserva che la creazione della controllata era inizialmente fondata su motivi commerciali validi, legati all’impossibilità, per la casa madre, di concludere contratti direttamente dalla Lituania con alcune piattaforme pubblicitarie o di distribuzione.
La CGUE ricorda che la clausola antiabuso consente di colpire un montaggio o una serie di montaggi, integralmente o per fasi. Tale formulazione, combinata con il considerando 8 della direttiva 2015/121, implica che un montaggio possa evolvere nel tempo: una struttura autentica all’origine può divenire artificiale se viene mantenuta senza giustificazione nonostante la perdita delle sue funzioni economiche. Al contrario, la sola situazione di fatto alla data della distribuzione non può, da sola, essere sufficiente per qualificare un abuso, se non tiene conto dell’evoluzione cronologica dell’attività e delle ragioni che avevano giustificato la costituzione della struttura.
Nel caso di Nordcurrent, questo approccio conduce a interrogarsi non solo sulla situazione della controllata nel 2018 e 2019, ma anche sull’uso effettivo che ne era stato fatto in precedenza. L’esame delle motivazioni originarie, della loro rilevanza al momento della costituzione della controllata e della loro eventuale progressiva scomparsa diventa così centrale per dimostrare l’esistenza di un montaggio non autentico.
II. Un’esigenza cumulativa e contestualizzata per qualificare l’abuso di diritto fiscale
A. La necessità di una doppia dimostrazione: assenza di autenticità e finalità fiscale incompatibile
Uno dei chiarimenti essenziali forniti dalla Corte riguarda la necessità di dimostrare due condizioni cumulative per poter negare l’applicazione dei benefici previsti dalla direttiva 2011/96. Come affermato espressamente dalla Corte, la sola constatazione dell’esistenza di un montaggio non autentico non è sufficiente: occorre anche dimostrare che tale struttura è stata messa in atto con una finalità essenzialmente fiscale contraria all’oggetto o alla finalità della direttiva.
Questa duplice esigenza si inserisce nella continuità della giurisprudenza precedente, in particolare nella sentenza T Danmark, in cui la CGUE aveva già posto le basi di un metodo rigoroso fondato su un elemento oggettivo (assenza di motivi economici validi) e un elemento soggettivo (intenzione di ottenere un vantaggio fiscale contrario al diritto dell’Unione). Nel caso di specie, il giudice del rinvio si interrogava proprio su questo punto: la sola qualificazione della controllata come montaggio non autentico era sufficiente per negare l’esenzione dei dividendi?
La Corte risponde negativamente. Ricorda che l’intenzione deliberata di ottenere un vantaggio fiscale deve essere dimostrata dall’amministrazione fiscale alla luce dell’insieme delle circostanze pertinenti. Tale onere della prova, che incombe allo Stato, implica un ragionamento strutturato e convincente, in contrasto con un approccio automatico o fondato su presunzioni.
B. Un’interpretazione ampia e integrata del vantaggio fiscale
La CGUE adotta inoltre una posizione sfumata sulla nozione stessa di vantaggio fiscale. Essa rifiuta di restringere tale concetto alla sola esenzione prevista dalla direttiva. L’analisi non può limitarsi all’esistenza formale di un beneficio esentato: è necessario valutare, in una prospettiva complessiva, l’effetto economico dell’intera struttura.
In tale logica, la Corte riconosce la pertinenza dell’argomento sollevato da Nordcurrent, secondo cui la controllata britannica era soggetta a un’aliquota dell’imposta sulle società (24%) superiore rispetto a quella applicabile in Lituania (15%). Un simile elemento, pur non escludendo automaticamente l’esistenza di un abuso, costituisce un fattore oggettivo idoneo a neutralizzare la dimostrazione dell’intento di ottenere un vantaggio fiscale.
La Corte si inserisce così in una lettura teleologica della direttiva: il “vantaggio fiscale” non può essere disgiunto dal carico fiscale globale effettivamente sostenuto. Non si tratta di identificare meccanicamente un regime preferenziale, bensì di valutare se il contribuente abbia, con artificio, ridotto o eluso l’imposizione in modo incompatibile con l’obiettivo del testo normativo. Questo approccio impedisce che la clausola antiabuso sia distorta rispetto alla sua finalità e utilizzata per sanzionare situazioni che non presentano alcun carattere abusivo.
La sentenza consacra così un’esigenza di coerenza e proporzionalità nell’applicazione della clausola antiabuso, richiedendo alle autorità fiscali un’analisi contestuale, motivata ed equilibrata.
Questa esigenza di una dimostrazione articolata e globale apre naturalmente alla riflessione conclusiva sul significato effettivo della decisione. Più che un cambio di orientamento giurisprudenziale, la sentenza Nordcurrent rappresenta un utile richiamo metodologico, che chiarisce il modo in cui i giudici nazionali devono articolare fatti, intento ed effetto fiscale per giustificare l’esclusione di un regime di esenzione previsto dal diritto dell’Unione.
Le nostre riflessioni conclusive
La sentenza Nordcurrent non stravolge l’impianto della direttiva 2011/96, ma ne affina la portata applicativa, ricordando che la clausola antiabuso può essere invocata solo sulla base di una dimostrazione completa, coerente e cronologicamente articolata. Spetta all’amministrazione fiscale dimostrare non solo il carattere non autentico della struttura utilizzata, ma anche l’intento di trarne un vantaggio fiscale contrario all’oggetto e alla finalità del regime europeo di esenzione.
In tal senso, la decisione mette in luce tre elementi fondamentali:
– da un lato, la necessità di considerare l’insieme dei fatti e delle circostanze, non solo al momento della distribuzione dei dividendi, ma anche nei periodi precedenti, al fine di valutare l’evoluzione della sostanza economica e delle funzioni effettive della controllata ;
– dall’altro, l’esigenza di un ragionamento che dimostri che lo scopo principale, o uno degli scopi principali, del montaggio fosse di natura fiscale, in coerenza con l’impianto generale della direttiva ;
– infine, il riconoscimento che il vantaggio fiscale non si limita alla sola esenzione prevista dalla direttiva, ma deve essere valutato alla luce dell’effetto fiscale complessivo dell’operazione, tenendo conto, tra l’altro, dell’aliquota effettivamente applicata alla controllata. In questo senso, un carico fiscale più elevato sopportato nel Regno Unito, se confermato, costituisce un elemento oggettivamente rilevante per escludere l’esistenza di un abuso.
Con questa decisione, la CGUE ribadisce che la lotta contro l’abuso non può avvenire a scapito del rigore giuridico né della certezza giuridica dei contribuenti. Essa impone agli Stati membri un’analisi prudente, contestualizzata e fondata su una dimostrazione fattuale e teleologica solida. La sentenza si colloca così in una linea giurisprudenziale equilibrata, in cui la realtà economica mantiene un ruolo centrale nell’interpretazione del diritto fiscale dell’Unione.
Sandro Assogna, Avvocato iscritto all’Ordine di Parigi e Fondatore dello studio Taxlhab